In camera
Bella la mia camera, l’ho sempre pensato e ne sono convinta soprattutto ora che me ne sto sdraiata sul letto a fissare il soffitto. C’è tutto quello di cui ho bisogno: letto, libri, TV, musica e per finire un bel tavolo, proprio davanti alla finestra, illuminato dalla calda luce del sole. Potrei passare tutto il mio tempo in questa stanza, perché tutto ciò che mi occorre è proprio qui e non ho bisogno di uscire.
Di uscire non ne ho voglia, di incontrare gente, di girare per le strade, di andare nei locali, all’università, a lavoro… Tutto frenetico, mentre nella mia camera tutto rimane calmo, in un’atmosfera stabile, senza alcuna fretta. Posso fare e disfare senza limiti, senza alcuna formalità, senza dover rendermi presentabile, senza impersonare nessuno, perché qui non c’è nessuno che mi guarda, che mi impone di essere quella che non sono, di fare quello che non ho voglia di fare. Confinata fra queste quattro mura mi sento libera, libera da tutto ciò che è lì fuori.
Lì fuori c’è il tempo controllato da quell’invenzione chiamata orologio o da quell’altra chiamata calendario. Fuori tutta la vita è scandita dal tempo, suddiviso, programmato, anni, mesi, settimane, giorni, ore, minuti… ogni respiro, come delle scadenze. Ma chi l’ha mai detto? Chi l’ha deciso? E va a finire che si è costretti a vivere in funzione del tempo che passa. Mi sento prendere dall’ansia se solo penso alle lancette dell’orologio che scorrono veloci e inesorabili. Nella mia camera non ci sono orologi, non ci sono fogli di calendario da staccare, perché il tempo lo creo io senza così sentirmi mai in ritardo, godendomi e assaporandomi il momento senza pensare al dopo, all’istante che passa. Il tempo mette un inizio e una fine, ma l’inizio di che e la fine di cosa? Qui da me c’è sempre il sole, non c’è un’alternarsi di stagioni, vivo in funzione del mio ciclo biologico. Mi sveglio quando non ho più sonno, mangio quando ho appetito, riposo quando sono stanca. E il tempo libero non esiste perché è sempre libero e non frazionato, concentrato e controllato. Se ho voglia posso fare tutto, se la voglia non c’è, me ne rimango a fissare il soffitto fino in fondo.
In fondo però ci sono tantissime cose da fare, ma non mi lascio sopraffare dalla frenesia, seguo il mio istinto e quando il desiderio sarà forte, basterà assecondarlo. Ci saranno tutti questi libri da leggere e rileggere se ne rimarrò catturata, migliaia di storie nascoste tra le righe e farne parte, sentire il profumo di luoghi lontani con la fantasia, con la forza del pensiero. E se di leggere non avrò voglia, ci sarà la musica del mio lettore mp3, non la radio.
La radio è come la TV, decidono gli altri e a intervalli regolari propinano le loro scelte e preferenze e va a finire che il desiderio di scegliere si assopisce, ci si lascia condurre dagli altri. Così invece è tutta un’altra cosa, sarò io a scegliere cosa ascoltare, che genere di musica, quali parole… Nella mia cameretta la TV non è collegata a nessuna antenna, funziona solo con il mio hard disk e così potrò decidere quali film o cos’altro guardare, sempre secondo il mio gusto e interesse. Si fa così, deve sempre sapere, potere e dover decidere, altrimenti di chi è la mia vita?
La mia vita è un foglio di carta bianco. Cosa c’è di più bello? Sopra il mio bellissimo tavolo illuminato dai raggi di sole, con quella splendida finestra affacciata sulle verdi colline, ho un’alta pila di fogli bianchi con accanto tante penne, matite e colori. Sarà fantastico sedersi lì, con tutta la calma del mondo, chiudere gli occhi e lasciarsi andare, come guidati e cullati da una forza che improvvisamente sentirò nascere dentro. Il foglio si riempirà e come d’incanto la mia mano sarà capace di disegnare splendide immagini, paesaggi marini, boschi, laghi che non ho mai visto, ma che nella mia mente sono vivi. Mi piace disegnare, è come una magia, è come creare, dal nulla viene fuori tutto e quel tutto sarò proprio e solo io a farlo, senza guida.
Senza guida è anche creare con le mani e a volte, invece di prendere la matita, mi divertirò a piegare il foglio seguendo delle tracce immaginarie, fin quando uscirà fuori una farfalla, un airone, un fiore… Poi li legherò con un filo e li appenderò alla finestra per vederli oscillare con un leggero soffio di vento. Altre volte invece potrò creare storie così differenti da quelle reali dove alla fine, gira che ti rigira, ti prendi sempre una fregatura. La fantasia è molto più bella della realtà e in un certo senso più sicura, non si corre il rischio di vedere spazzati via i sogni, perché non si fa affidamento su nessuno.
Nessuno. Ecco un’altra cosa che non va lì fuori, finisci sempre per dipendere da qualcuno: in amicizia, in amore o in qualsivoglia rapporto. Qui dipendo solo da me, il mio umore non viaggia in proporzione al comportamento di nessuno. Non ci sono alti e bassi. Quando sono in macchina, per la mia strada, sono tranquilla e mi godo il viaggio, canto e guardo il paesaggio intorno a me. È anomalo che succeda solo quando la strada è deserta. Se per caso scorgo i fari di un auto dietro di me o i fanalini posteriori di un auto davanti a me, tutta la serenità svanisce. Mi crea ansia vedere quei fari alle spalle, mi sento inseguita e controllata. Se vado piano penso di dare fastidio, come un tappo in un lavandino. Se invece vado forte, mi sembra di fuggire e mi rendo conto della velocità. Allo stesso modo mi crea angoscia vedere i fanalini posteriori dell’auto che mi precede, vado piano e mi sento in ritardo, abbandonata se l’auto sparisce dietro la curva, se corro penso che la macchina davanti mi stia bloccando. In fin dei conti fuori si è in relazione agli altri, c’è sempre un paragone. La mia auto, un vecchio Diane blu, non va più veloce di centodieci, perché allora delle volte mi sembra che vada fortissima, altre che sia una tartaruga? Io vado sempre alla stessa velocità, ne sono sicura, è l’andatura degli altri che fa apparire la mia più rapida o più lenta. Ma è giusto questo? Be’, credo che la vita sia come viaggiare in auto, inoltre ci sono gli ingorghi. Insomma, nella mia cameretta viaggio da sola, l’andatura non è in relazione a nessuno e non mi caccio in mezzo al traffico. Ma la cosa più bella e rassicurante è che non faccio nessun incidente.
L’incidente avvenne un giorno e fu quello l’ultimo che chiamai tale, l’ultimo in cui mi legai a qualcuno e l’ultimo che vissi così come volevano gli altri. A che serve legarsi, credere in qualcosa che poi si rivelerà essere solo un abbaglio? E’ come un miraggio nel deserto. Allora il rimedio è in un certo qual modo annullare il desiderio della sete, non sognare e agonizzare per avere l’acqua, in modo da non rimanere delusi quando camminando ci si renderà conto che niente sarà in grado di dissetarti. Sono arida? Sì, molto meglio aridi. Che non nasca neanche un misero filo d’erba, almeno non corro il rischio che un piede sbadato venga a calpestare la mia armonia.
La mia armonia non viene infatti turbata da nessuno, si parla tanto dell’importanza di stringere rapporti. Ma che me ne faccio in fondo? Ricordo quando ero diversa, quando credevo ancora in qualcosa che non esisteva. Cosa è rimasto alla fine di Marco? Un insieme di sensazioni spezzate improvvisamente e definitivamente. Ma si continua a vivere ed è meglio farlo in questa maniera, io qui e il mondo fuori, separati, senza rischiare neanche i rischi calcolati. Non ho dubbi che stia facendo la cosa giusta, non ho voglia di fingere, non ho voglia di provare stimoli che in realtà non sento, sono echi ormai lontani. Cos’è in fondo che ci spinge verso un’altra persona? E’ un’insoddisfazione interna, è paura di stare soli perché non si è capaci di stare con sé stessi. E’ solo un desiderio di vivere in branco. Per gli animali è un istinto, per noi cos’è? C’è una ragione, oppure la ignoriamo intenzionalmente e anche noi seguiamo il nostro istinto? Come rispondere… Io seguo il mio istinto che mi dice di restare qui, come un lupo solitario, ma senza vagare, non sono alla ricerca di niente e nessuno. Ho trovato me stessa ed è una cosa al di sopra di tutto e in tutto.
In tutto questo star bene c’è un solo particolare che mi disturba e sarò costretta a trovarvi un rimedio. Avviene tutti i giorni, alla stessa ora, anche se non saprei dire quale per via dell’assenza di orologi nella mia vita. Sento le campane della chiesa qui vicino e rassegnata, anche se indifferente, so che passerà poco prima che la porta si apra e mia madre entri accompagnata dalla sua amica: la dottoressa. Mi chiedo quando si stancherà di intromettersi, di cercare di cambiare la mia realtà. Parlano e mi osservano, penso che siano convinte che non le senta, ma le ascolto eccome, solo che non ho voglia di spiegare i tanti perché. Mamma ripete sempre la stessa domanda: guarirò prima o poi? Potrei, o forse dovrei, dire che non sono malata, ma preferisco fare finta di niente e ascoltare la dottoressa spiegare che sono in uno stato di… non afferro il significato della parola…da quasi un anno (ma cos’è poi il tempo?) e che vivo in un mondo tutto mio. Fin qui le seguo, ma poi quando si chiedono perché non parlo con nessuno, perché non do segni di reazione a tutto quello che ho intorno, perdo il filo. Le loro voci si confondono e spengo la luce perché conosco bene ciò che dicono.
Dicono che non mi sono mai ripresa dallo shock, forse è vero, ma non hanno ancora capito che è stato proprio quello a farmi aprire gli occhi e dare inizio alla mia vita. Un tradimento è pur sempre un tradimento, non lo si manda giù come fosse un bicchiere d’acqua. Non è solo sesso, amore, amicizia, fiducia, lealtà… E’ tutto che va all’aria, è la certezza di aver preso una grandissima cantonata, di aver viaggiato al buio, di aver vissuto quello che non era. Come scoprire che due più due non fa più quattro e che fin da quando hai imparato a contare, hai sempre sbagliato a fare la somma. Ho reagito nella maniera meno offensiva e in fondo più innocua. Cosa si aspettavano da me? Cosa avrebbero voluto e cosa avrei dovuto fare? C’erano solo due strade ed era un bivio. Tuoni, fulmini e saette… No, sinceramente non ne valeva la fatica. Il nulla è la strada più sicura, è quella garantita, senza sorprese finali. Allora non c’è da stupirsi del perché sono voluta venire qui e soprattutto a quale scopo, perché ho voluto a tutti i costi così questa cameretta, i libri mai letti, la musica mai ascoltato, la TV mai accesa, i fogli che rimangono fogli bianchi, la sedia vicino al tavolo in cui non mi sono mai seduta. Posso scegliere, è questa la differenza, anche se sono in una clinica, in una camera a pagamento. Sarebbe inutile spiegare, nessuno capirebbe mai perché sto bene qui, nel mio mondo perfetto facendo quello che ho voglia di fare. Anche fissare il soffitto per intere giornate. Devo trovare solo un modo affinché mamma e la sua amica non entrino più.
Più tardi mi alzerò e sprangherò quest’ultima porta.
sr
Foto di Enrique Meseguer da Pixabay