Diario: 2010 Gennaio
13/1/2010
“Angelo mio”.
Non credo che mai nessuno mi abbia chiamato così.
Lo hai detto come a chiedere scusa per avermi quasi trascurato.
E poi silenzio. Sentivo il tuo sorriso.
Ti è sfuggito. E’ sfuggito al tuo controllo, e hai sorriso come fa un bambino che ormai l’ha fatta ed è stato sorpreso.
Ma non devo dargli peso.
A Roma viene usato spesso.
Solo che su di me ha il solito effetto.
Sono sull’isola.
Siedo sulla spiaggia appena tiepida e ammiro un tramonto favoloso.
Alle spalle ho un universo verde e posso sentire il rumore che fa il vento accarezzando gli alberi.
Sono sola. E il sole dondola sull’orizzonte del mare.
Ecco.
Questo è l’effetto delle tue parole. Che sono solo un intercalare, un modo di dire, un linguaggio.
Che io sia io o un’altra persona è lo stesso.
Mi congedo dall’isola.
Con serenità.
Non so quando la rivedrò.
Aspetterò.
Senza pensarci troppo.
Prima o poi ci tornerò.
Per un altro, insignificante episodio.
(ancora…)
Il tuo Angelo… E’ un’idea.
In fondo gli Angeli sono discreti, silenziosi, comprensivi, ironici, allegri, generosi. E stanno vicini. Sempre.
Tu sai che ci sono anche se non li puoi vedere.
Geniale.
Sarà così.
Laltrame