MyDay

Corse

La serata è stata quanto meno assurda, non so proprio in che altro modo definirla. È iniziata male ed è finita anche peggio con qualche momento estatico, ma questo è un altro discorso.

L’appuntamento con il mio collega un disastro, l’ho capito già quando eravamo in macchina, ma l’imbarazzo è proseguito anche dopo. Non si trattava di quell’imbarazzo magico in cui nell’aria volano scintille, ma di quell’imbarazzo piatto di quando non si sa proprio cosa dire. Può andar bene anche chiacchierare, il massimo sarebbe parlare, ma odio fare conversazione. Pazienza, mi sono detta, magari è solo questione di rompere il ghiaccio.

Ma cosa! Arrivano i suoi amici e si trasforma. Il ragazzo garbato e anche un po’ impacciato, che si premurava che il mio bicchiere fosse sempre pieno, sparisce per lasciare il posto a un essere spavaldo e a tratti anche arrogante… e così finisco per servirmi da bere da sola. Meglio!

Concluso il primo round nella gara di simpatia, lui e i suoi amici decidono di continuare in un altro locale. Neanche mi chiede cosa voglio fare io. Beh, è troppo! E’ uno dei motivi per cui preferisco uscire sempre con la mia macchina, ma stasera ho commesso uno stupido errore. Errore a cui, però, rimedio subito, telefonando a mio fratello.

Nel giro di dieci minuti eccolo che spunta davanti al locale. Il mio collega ci rimane male, ma chi se ne frega!

Torniamo a casa, ma mio fratello rimane sulla moto: ha altro da fare. Capisco che c’è qualcosa che non mi vuole dire. Lo incalzo, rimane sul vago dicendomi che preferisce andare da solo. Gli chiedo se ci sia di mezzo una ragazza e gioca male le sue carte perché mi risponde: nessuna ragazza.

– Allora, non ci sono no che tengano: vengo con te!

Guarda l’orologio e sa di non avere scelta. Risalgo in moto e gli chiedo dove stiamo andando, non mi risponde e questo mi rivela due cose: è arrabbiato e il posto non mi piacerà!

Arriviamo in venti minuti, è una strada isolata, sa tanto di una strada interrotta o chiusa al traffico. Non incrociamo altri veicoli. Anzi, non è del tutto vero, un paio di moto ci sorpassano ad altissima velocità. Più avanti c’è uno spazio e ci fermiamo. C’è un sacco di gente, tutti motociclisti e qualche macchina, i fari dei veicoli sono l’unica illuminazione.

– E’ un raduno? – gli chiedo scendendo dalla moto e togliendomi il casco.

Anche lui fa lo stesso, mi guarda serio, ma una luce gli scappa dagli occhi quando dice: – No, è una corsa.

Lo avrei preso a pugni, ma arrivano due tipi che gli chiedono se sia l’amico di Alex. Lo stavano aspettando. Alex? Alessandro, il tipo della Ducati Streetfighter? È qui? Lancio un’occhiata in giro e sento mio fratello rispondere di sì.

– Sei nel prossimo turno – gli dicono. – Vai a posizionarti lì, la ragazza vicino a quella Porche ti dirà le regole.

Stop! Avrei voluto urlare, ma avrei anche voluto prendere mio fratello per le orecchie e dirgliene di tutti i colori. Lui intuisce le mie intenzioni, mi sorride con quel sorriso furbo di chi sa che la passerà liscia. Mi dice di non muovermi, risale in moto e in un secondo è già lontano da me.

Anche i due tipi si sono allontanati, mi guardo ancora intorno, vorrei mettermi ad urlare. Mi avvicino al grosso del gruppo, rimanendo però ancora in disparte.

Cavolo, che fare?!

Continuo a guardarmi intorno e i miei occhi incrociano quelli del tipo della Ducati Streetfighter. Dovrei cominciarlo a chiamare Alessandro… o Alex. È sulla sua moto, ha il casco, ma sono certa sia lui. Sono troppo arrabbiata e quindi nel ricambiare lo sguardo non c’è ombra di un sorriso, in questo momento vorrei avere con me un lanciafiamme! Mi guarda sorpreso… o storto… lui, da non crederci!

Qualche secondo, poi da gas e si posizione con altri motociclisti su quella che credo sia la linea di partenza. Il rombo dei motori si fa assordante. Ecco il via! Al diavolo!

Decido di andare alla ricerca di mio fratello, passo davanti a uno che raccoglie le scommesse, mi fischia dietro. Roba da film, ma come ci siamo finiti dentro? Intercetto mio fratello, ma anche lui mi vede e si dilegua sulla sua Ducati. Lo rivedo dopo qualche secondo dirigersi a bassa velocità verso quella che intuisco essere la linea di partenza. Mi volto dall’altra parte, non posso crederci che lo stia facendo davvero… e forse non è neanche la prima volta! Possibile che non me lo abbia mai detto?

Altro rombo di motori. E’ più forte di me, mi giro verso di lui e lo guardo partire a tutta velocità. Idiota!

Un film avevo detto? Già, proprio come nei migliori film di genere, un paio di minuti ed ecco che sento le sirene della polizia. Panico! Fuggi fuggi generale… e io? Mi viene in mente di salire sulla moto di uno sconosciuto che, lì accanto, sta per partire… mi viene in mente di fuggire per i prati… finisco per fare la cosa più insensata. Prendo il telefono e chiamo mio fratello, non pensando assolutamente che sulla moto non sentirà mai. Il telefono squilla a vuoto… calma, mi dico. Calma? Come faccio a stare calma in questa situazione? Vedo già le volanti arrivare… sicuramente sarò l’unica che prenderanno senza bisogno di inseguimento!

Poi improvvisamente uno sdridio di gomme e il rombo di un motore che si blocca dietro di me. E’ una Ducati, ma non è mio fratello. E’ il tipo della Streetfighter, ci guardiamo un secondo (quanto è lungo un secondo?), lui mi fa un cenno con il capo.

– Sali, non c’è tempo.

Non me lo faccio ripetere due volte e salgo dietro di lui e schizziamo via. Andiamo a tutta velocità verso le volanti, mi stringo forte a lui. Ho una paura matta! Senza neanche rallentare passiamo a pelo tra le due auto in arrivo e poi via. I fari della Ducati sono l’unica luce che illumina la strada.

Mi porta a casa. Ci fermiamo davanti al portone e sento il mio cellulare squillare: è mio fratello. Rispondo e gli dico dove sono e che sto bene. Sta bene anche lui.

Scendo dalla moto, il “tipo” nel frattempo si è già tolto il casco. Ci guardiamo, abbozzo un sorriso e lui fa lo stesso. C’è imbarazzo, ma c’è elettricità nell’aria. La avverto, non solo io.

– Grazie – riesco a dire e lui fa un gesto con le spalle e mi sorride ancora, più apertamente.

In una frazione di secondo dimentico tutto, anche il fatto che abbia coinvolto mio fratello (e di conseguenza me) in una corsa illegale di moto. In quel momento non ci penso, avrò tutta la notte per farlo. Mi tende la mano.

– Alessandro.

Chissà perché ha un suono diverso, un nome perfetto addosso a lui.

– Viola.

Ci stringiamo la mano, ha una bella stretta, piena. Rimaniamo in silenzio, ancora un sorriso, sto per dire qualcosa sicuramente senza senso, ma arriva mio fratello. Ci giriamo verso di lui, scende veloce dalla moto e mi abbraccia.

– Scusami – mi dice e io l’ho già perdonato. Poi si volta verso Alessandro. – Grazie per aver aiutato mia sorella.

– Tua sorella? – domanda lui, voltandosi verso di me.

Mio fratello ed io annuiamo contemporaneamente e a me sembra che il sorriso di Alessandro si sia accentuato. Squilla un telefono, questa volta è il suo. Risponde, dice qualche parola e poi chiude. Mio fratello ci racconta che è tornato a cercarmi, ma nel piazzale non c’era già più nessuno, neanche la polizia. Ha provato a chiamarmi, guardo il cellulare: ci sono 9 chiamate senza risposta.

Si apre il portone e scende la tipa del secondo piano. Evidentemente era lei al telefono. Ci guarda e ci sorride, ma va dritta da Alessandro e gli stampa un bacio sulle labbra. Finisce qui la serata e non solo quella. Non incrocio più i suoi occhi, non so se sono io a evitarli o è lui. Ci presentiamo con la tipa, si chiama Marina… è molto carina.

Ci salutiamo, loro rimangono sotto, mio fratello e io saliamo. Non parliamo, tacita tregua, rimandiamo così la discussione a domani e ci mettiamo subito a dormire, o meglio, l’intezione è quella. Mi giro e mi rigiro nel letto. Notte folle, assurda.

Non sono delusa perché ora so per certo che lui è territorio off-limits. In fondo non è stata una gran sorpresa, per quanto non sia stato piacevole vederlo insieme alla tipa… ok, mi sforzerò di chiamarla Marina.

Sono delusa perché, per quanto mi piacciano i tipi duri, alla fine preferisco i bravi ragazzi. 

V.

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